venerdì 1 febbraio 2008

Il pane bianco

Era intorno al 1945 quando i primi carriarmati delle truppe anglo-americane entrarono in Galzignano, il paesino sui colli Euganei, in vicinanza di Padova, in cui ormai da quasi tre anni eravamo sfollati.
Naturalmente sia gli inglesi, ma principalmente gli americani cercavano di risparmiare al massimo la vita dei loro conterranei e quindi le prime truppe d'assalto o di avanscoperta erano per lo più composte da gente di colore che, a piedi, accompagnava l'incedere lento dei mezzi corazzati.
Ricordo quei giganteschi carri che maciullavano con i loro cingoli le già malconce stradine. La gente, un po' intimorita da quei veicoli li festeggiava, lieta sì per la fine della guerra, ma anche attonita nel vedere quei militari dall'aspetto e dalla fisionomia così inconsuete. Solo i partigiani, veri o falsi che fossero perchè molti contadini solo quella mattina si erano legati uno straccetto rosso intorno al collo, gridavano e applaudivano a gran voce.
Ma il mio ricordo più vivo è quello del pane che, pochi giorni dopo, comparve in quantità dal fornaio: il pane BIANCO! Era da tempo immemorabile che non si vedeva più. Eravamo ormai abituati da moltissimo tempo a scarse razioni di pane nero la cui composizione resta tuttora un mistero.
Crusca, segale, ceci... non so cos'altro ci fosse dentro, si parlava anche di polvere di marmo... sicuramente era un pane schifoso. Ma il pane bianco, ah quel primo panino bianco appena sfornato... che sapore! Più gustoso e fragrante di qualsiasi dolce.
Ero io che, benchè piccolino, andavo a fare diverse spese e ricordo che comprai UN CHILO, mio Dio, un'intero chilo di quei panini caldi e soffici e non seppi resistere alla tentazione di addentarne e divorarne uno. Che sapore! Un sapore che non ho mai dimenticato.

domenica 27 gennaio 2008

Tra realtà e mistero


Oggi non sarebbe difficile inventare una stoffa sottilissima ed assolutamente impermeabile con cui realizzare un mantello. Probabilmente si possono produrre dei colori, da utilizzare per un affresco, che mantengano per secoli il loro splendore. Esistono inoltre stamperie in grado di stampare in policromia con una sola passata.
Più difficile creare una lanterna in grado di bruciare e far luce per un tempo lunghissimo senza lasciare residui, e ancor più difficile se l'elemento base fosse un teschio ridotto in polvere e mischiato con altri elementi.
Abbiamo oggi mezzi di trasporto anfibi, in grado quindi di viaggiare sia sulla terra che nell'acqua come anche sistemi per dissalare e rendere potabile l'acqua di mare, ma chi, anche oggi, sarebbe in grado di metallizzare vene, arterie ed organi interni di un cadavere o trasformare un cardinale in una ... sedia?
E... che dire se tutte queste cose, insieme con moltissime altre, fossero state progettate e realizzate nel 1700 da un solo uomo?
Siamo a Napoli e ci rechiamo in uno dei suoi molteplici cuori antichi: Piazza S. Domenico Maggiore.
Fatti pochi passi entriamo in una stradina, via Francesco de Sanctis, dove troviamo la Cappella della "Pietatella", oggi nota come Cappella Sansevero.
La Cappella è un capolavoro del barocco napoletano ed anche un prezioso ed enigmatico scrigno di arte ermetica, misteri, allegorie e simbolismi rosacrociani che farebbero la gioia di Dan Brown autore del discusso romanzo "Il Codice da Vinci".
Paghiamo il biglietto ed entriamo. L'aspetto è quello di una chiesa straordinariamente ricca di statue, di affreschi e di sepolcri, ma, forse per le luci basse, forse per l'atmosfera che si respira, siamo presi da una strana inquietudine. Ci viene in mente la voce che circola tra i più anziani abitanti della zona: strane luci e strane presenze notturne, un organo che talvolta suona nella chiesa chiusa e vuota mentre intorno si diffonde un lieve profumo d'incenso.
La costruzione della Cappella iniziò nel 1613 per opera di Alessandro, Principe di Sansevero e Patriarca di Alessandria; interrotta nel 1642, venne ripresa e completata nel 1744 da Raimondo di Sangro, VII Principe di Sansevero. Questi è il personaggio misterioso che ci interessa: e chi era? Un mago, uno stregone, un diabolico alchimista, un novello Leonardo da Vinci, un filosofo, uno scienziato in anticipo sui tempi, il misconosciuto maestro del ben più noto Cagliostro? Cerchiamo di sapere qualcosa di più.
Diretto discendente da Carlo Magno, Grande di Spagna , Principe di Castelfranco, di Fondi, Duca di Torremaggiore e di Martina, Raimondo, nato il 30 gennaio 1710 era il terzo figlio di Don Antonio di Sangro e Cecilia Caietani d'Aragona. Mentre era ancora piccolissimo morirono la madre e i due fratelli, il padre, dopo varie vicissitudini (era un gran puttaniere e pare abbia assassinato alcuni avversari), si pentì (?) e si ritirò in un convento.
Restava solo il nonno che mandò il piccolo Raimondo a studiare a Roma presso un collegio di altissimo livello dei Padri Gesuiti. A vent'anni il giovane tornò a Napoli. Era in possesso di una cultura, di un ingegno e di una fantasia di gran lunga superiore a quella degli altri nobili. Appassionato di alchimia e di meccanica fabbricò e regalò al re Carlo III di Borbone dei mantelli impermeabili da utilizzare nelle battute di caccia. Inventò anche un cannone, fatto con una speciale lega da lui creata, molto più leggero degli usuali cannoni di bronzo, ed un fucile a retrocarica oltre ad una carrozza anfibia ed a tutte le altre cose dette all’inizio. Entrato a far parte della confraternita massonica dei Rosacroce ne divenne Gran Maestro ed entrato in possesso degli antichi riti alchemici risalenti ai sacerdoti egizi trasformò in laboratorio ed in tipografia la cantina del suo palazzo. Durante la notte, da una finestrella uscivano rumori, odori tremendi e volute di fumo colorate che atterrivano i passanti.
Desideroso di passare alla storia spese somme enormi per terminare la costruzione della Cappella di san Severo, coordinando l’opera di pittori e scultori con attenzione maniacale ed utilizzando ampiamente le sue conoscenze alchemiche.
Noi proseguiamo, con passo un po’ esitante, la visita nella Cappella. Ed ecco, al centro, il Cristo velato, scolpito dal Sammartino. Gesù morto, il cui viso scavato dalla sofferenza e tutto il resto del corpo, piagato dalle ferite, si intravede perfettamente sotto il sudario, un velo sottilissimo di marmo che ricopre interamente il Cristo.
Più avanti c’è “la Pudicizia”, una donna nuda, bellissima e sensuale che si appoggia ad una lapide spezzata. Anch’essa, opera di Antonio Corradini, è interamente ricoperta da un velo di marmo e rappresenta la madre del Principe, morta a soli 22 anni.
Restiamo attoniti e stupiti di fronte a tanta bellezza ma ecco che, quasi sul fondo della Cappella, un uomo barbuto, nel fiore degli anni, si divincola per liberarsi di una nodosa rete che lo imprigiona, aiutato da un fanciullo alato. Si tratta del “Disinganno” opera dello scultore Francesco Queirolo e rappresenta Antonio di Sangro, padre del Principe Raimondo, il quale aiutato dalla ragione (il fanciullo) si libera dalla rete di delitti e di libertinaggio in cui si era invischiato.
Il mistero che accomuna queste statue è dato comunque dall’apparente impossibilità anche per uno scultore espertissimo di ricoprire con veli e reti di marmo questi capolavori. Sembra quindi quasi certo che si tratti di un ulteriore prodigio dell’alchimista che sarebbe riuscito a “marmorizzare” con uno dei suoi procedimenti segreti, una rete e dei veli di corda e stoffa.
Con molta trepidazione scendiamo in un sotterraneo attraverso una scaletta a chiocciola ed affrontiamo l’inimmaginabile. Protette da due cabine di vetro vi sono due scheletri di una donna e di un uomo che conservano intatto il loro sistema venoso ed arterioso, gli organi interni, i vasi sanguigni ed i globi oculari. La donna era incinta e nel suo ventre si poteva vedere il feto. Dico “si poteva vedere” perché questo feto è misteriosamente scomparso da molto tempo.
Ma chi erano questi due scheletri? Secondo le voci popolari si tratterebbe di due servi del Principe, e in una nota del 1766 si legge: “si veggono due Macchine Anatomiche, o, per meglio dire, due scheletri d'un maschio, e d'una femmina, ne' quali si osservano tutte le vene, e tutte le arterie de' Corpi umani, fatte per iniezione, che, per essere tutt'intieri, e, per la diligenza, con cui sono stati lavorati, si possono dire singolari in Europa”Sembrerebbe quindi che il Principe avesse iniettato in queste infelici creature, ancora vive, una sostanza che avrebbe metallizzato il loro sistema circolatorio e i loro organi. Ma quale sostanza? E con quale siringa considerato che questa invenzione avverrà cent’anni più tardi ad opera del chirurgo Carlo Pravaz? Mistero.
Ma forse è il caso di ricordare un altro episodio: come già detto il Principe era massone, anzi era un Gran Maestro ed i massoni fin dal 1738 erano stati scomunicati dal papa. Alcuni cardinali napoletani insieme con gli importanti padri gesuiti Pepe e Molinari che avevano invano cercato di costituire in Napoli una sede del Santo Uffizio (l’Inquisizione) sobillarono il popolo contro i massoni ed accusarono al re il Principe Raimondo. Recandosi a Roma per riferire al papa, alcuni alti prelati scomparvero. Cosa non inusuale per quei tempi considerate le numerose bande di briganti che assalivano i viaggiatori. Tuttavia tra la gente si diffuse la voce che Raimondo avesse fatto assassinare sette cardinali e con le loro ossa e la loro pelle avesse confezionato sette seggiole. Certo è che il principe ritrattò la sua fede massonica e ottenne le protezione del re.
Da allora e per tutto il resto della sua vita il principe si dedicò solo ai suoi studi di alchimia e di medicina. Compose una materia con proprietà analoghe a quelle del sangue di S. Gennaro, curò con successo con un siero di sua invenzione due moribondi: un certo Filippo Garlini e Luigi Sanseverino principe di Bisignano. Trasformò pezzetti di marmo in gemme di vari colori indistinguibili per durezza, peso e caratteristiche dagli originali.
Abbandoniamo questi ricordi. Rientriamo nella Cappella salendo la solita scaletta e incappiamo nella tomba del Principe ricoperta da una lapide di marmo con una scritta latina in rilievo. E qui vi è un altro mistero: il corpo del principe è scomparso dal sarcofago. Quando e come nessuno lo sa.
Sembra inoltre che nel 1771, quando morì, sia morto due volte. Avrebbe infatti scoperto un filtro prodigioso in grado di resuscitare i morti e deciso di sperimentarlo su di sé. Diede ordine ad un servo fedele di rinchiuderlo, dopo la morte, in una particolare cassa predisposta per il processo di rinascita. La cassa doveva essere aperta esattamente dopo sette giorni.
Giunsero però gli eredi del principe che scacciarono il servo che si opponeva ed aprirono il baule prima del tempo. Il principe si sollevò dalla cassa e, con gli occhi sbarrati, lanciò un urlo orrendo e ricadde. Morto per la seconda volta.
Usciamo, con un certo sollievo, dalla Cappella.
N.B. è disponibile un interessante video cliccando qui.